Lettera aperta ai compagni del PD
Premesso che chi vi scrive è sempre stato ed è socialista e Craxiano, mai pentito di ciò, e che negli anni in cui è stato sindacalista degli edili della Cgil ha sempre avuto un forte rapporto unitario nel lavoro sindacale con i compagni comunisti, ma da sempre anticomunista o acomunista, nella politica, ciò nella convinzione che dal confronto tra culture diverse si trovano soluzioni ai problemi del paese e dei lavoratori. Non ho mai votato il cosiddetto centrosinistra della Seconda Repubblica, per quanto ho creduto nell’esperienza della Rosa nel Pugno, ma purtroppo è stato solo un cartello elettorale e dunque, dedito alla sconfitta, cosa che avrei dovuto comprendere, perché quando le alleanze si realizzano solo sulla necessità per essere eletti e non quella di creare una comunità di intenti, il fallimento ne è sempre il risultato ed è ormai una prassi della Seconda Repubblica nonostante la ricerca del sistema elettorale perfetto. Prassi quest’ultima di cui il Pd ne fa largo uso.
Sono 30 anni che il Pci si è sciolto e noto che nella vostra evoluzione a forme diverse di organizzazione politica avete perso quell’anima sociale che ci permetteva un dialogo anche aspro sulle soluzioni da dare alle questioni sociali perché entrambi ne riconoscevamo la necessità di affrontare tali problematiche.
Non voglio guardare al passato, alla mancata occasione di confluire nel Psi che Craxi e De Michelis vi proposero, avete fatto legittimamente altre scelte che se è vero vi hanno portato al potere avete disperso l’anima sociale che dava un senso al termine sinistra. Non avendo realizzato una vera Bad Godesberg, dopo 30 anni vi ritrovate al punto di partenza.
In questi anni avete cambiato nomi, segretari e alleanze ma la sostanza culturale è sempre la stessa, sia quella cattocomunista e giustizialista come logica conseguenza evolutiva dell’ultimo periodo Berlingueriano, quando sollevò in modo ipocrita la falsa questione morale (non è che questo problema non esista) che poi in realtà egli riproponeva in modo diverso il doppiopesismo di Togliattiana memoria. L’altro aspetto è quella presunta superiorità morale che fa considerare l’appartenenza al partito una diversità e superiorità antropologica, per quanti nomi cambiati e matrimoni politici consumati questo aspetto continua a produrre danni a voi, ma anche sociali nel Paese, favorendo una cultura manichea che si sta diffondendo come un virus letale per la democrazia nel suo combinato disposto tra legge elettorale maggioritaria e media.
Alcuni di questi media, in particolare quelli legati al capitalismo famigliare italiano, che sopravvivono grazie alle prebende dello stato e non alle loro capacità imprenditoriali, sono ormai anni che interferiscono nella vita del vostro partito, a conferma di una rottura con quel legame con i ceti popolari, esasperando il contrasto tra giustizia sociale e diritti civili, a scapito della giustizia sociale per una politica dei diritti di natura ideologica per restare nello schema manicheo.
Oggi dopo la sconfitta elettorale del 25 settembre avete aperto un periodo di riflessione, come di norma fanno i partiti seri, che vi porterà al congresso. Ascoltando su Radio Radicale gli interventi della vostra direzione non si può negare un dibattito a più voci con una forte senso di messa in discussione. Comunità, identità, rinnovamento del gruppo dirigente, alleanze, legge elettorale responsabile della sconfitta, nuova legge elettorale, pacifismo, guerra, caro energia etc. tutti temi trattati nei vari interventi anche con critiche aspre al partito e alle sue alleanze.
Ci sono due aspetti, a mio parere, estremamente negativi che nel dibattito non sono stati messi a fuoco, e cioè dare la responsabilità agli elettori di non aver capito il Pd, e l’essere la sinistra come un dogma che, ovviamente, in quanto dogma percepisce coloro che non accettano il dogma come “infedeli”, fascisti, la destra, questa destra, l’ultra destra, impresentabili etc.
Pensare che quando si perde è colpa degli elettori vuol dire non mettere in discussione la qualità del messaggio, i contenuti e la proposta politica, il modo in cui si manifestano i propri valori di riferimento. Di norma in politica bisogna avere il coraggio di fare proprio il motto che dice: “l’elettore ha sempre ragione”. L’elettore valuta il rapporto tra ciò che si dichiara e ciò che si fa o non si fa, può piacere o no ma oggi il PD viene percepito come il partito dei ceti agiati, che non difende il mondo del lavoro, il partito degli affari, il partito che predica il bene comune, ma poi i servizi pubblici dimostrano l’opposto, si professa liberale e Keynesiano, ma privatizza ai soliti noti, non credo che ciò sia tutto vero, ma questa è la percezione con cui bisogna fare i conti.
L’altro aspetto fondamentale è la narrativa sulla sinistra e il potere. Cosa è la sinistra? Un luogo? Un modo di essere? O dei valori? Certamente dovrebbero essere dei valori, ma i valori non sono una esclusività di uno schieramento, i valori sono il cemento di una comunità e di un Paese. L’a differenza che può esistere è nel modo di calibrarli. La libertà è un valore, ma esso può essere concepito in modo diverso, tra chi ad esempio crede che l’individuo deve solo rispettare le libertà che lo stato gli concede e chi concepisce la libertà come il diritto di fare ciò che più gli aggrada.
Quando la libertà viene concepita agli estremi essa perde l’essere un valore che unisce e diventa divisiva perché si trasforma in ideologia.
Non a caso in Europa coloro che rappresentano per convenzione la sinistra essi si chiamano socialisti o socialdemocratici, movimenti politici valoriali che hanno abiurato le ideologie che sono state il dramma e l’orrore del 900. Lo stesso meccanismo psicologico vale per il potere. È normale che i partiti lottano per il potere ed esso non è ne buono ne cattivo ma dipende come gli uomini lo usano, nel caso dei partiti essi dovrebbero usarlo per realizzare le loro visioni valoriali ma se esse diventano ideologia il potere si trasforma o in forme illiberali fine a se stesso o autoritario nel realizzare la sua visione.
Oggi il Pd si trova a dover fare delle scelte che non sono automaticamente risolvibili con un cambio di nome o di segretario, ma di una profonda rivoluzione culturale che produca una classe dirigente figlia di questa rivoluzione. Certamente oggi qualunque riflessione, se da un lato deve saper cogliere le contraddizioni che emergono dalla nuova rivoluzione dell’economa digitale, dall’altro deve scegliere le sue radici valoriali con il quale affrontare la lettura della società e proporre proposte e soluzioni. Le radici sono quelle del socialismo umanista della tradizione riformista, che coniuga diritti a responsabilità, che espelle dal suo seno le ideologie ma riesce a cogliere in modo laico i contributi dei vari pensatori del secolo scorso da Turati a Gramsci da Roselli a Don Milani, da Proudhon a Craxi.
Le parole, più che mai nell’universo digitale, danno senso alla realtà che si percepisce e che si vuole comprendere, ma anche i simboli comunicano le radici alla quale ci si vuole ispirare, e se la strada maestra è il socialismo democratico per rappresentare una sinistra laica e non ideologica, portare un garofano ad Hammamet è fare una scelta di campo, non sarà largo, ma certamente un campo coerente con le persone che lavoreranno per realizzare una società più giusta.
PS. per un ritorno alla politica con la P maiuscola
1) Ripristino del finanziamento pubblico e regole trasparenti per i privati, perche la democrazia costa
2) ritorno al proporzionale puro al primo turno e maggioritario al secondo con elezione diretta del premier o del presidente cosi si coniuga partecipazione e governabilità
Roberto Giuliano