L’odio : Quando le parole diventano ideologia
Si parla molto del linguaggio dell’odio, ma cosa sia l’odio nessuno lo spiega. Secondo Freud è l’opposto dell’amore, anzi si potrebbe dire che l’uno esiste perché c’è l’altro. Si preferisce combattere e censurare un linguaggio dell’odio e non comprendere la sua genesi, come dire stai male prendi una pillola e cosi abbiamo la coscienza a posto, curiamo il sintomo ma non indaghiamo su ciò che lo produce. L’odio, può piacere o no, è un sentimento umano, e i sentimenti si possono educare ma non estirparli o abolire. In quanto esseri umani siamo tutti dei portatori sani di sentimenti che possiamo definire soggettivamente nobili e altri ripugnanti, e l’odio è uno di questi che può generare altri sottoprodotti come l’invidia, la gelosia, l’avidità etc. Le parole non sono nient’altro che la proiezione di ciò che si vive dentro di sé, esse sono neutre, ma il loro senso dipende dalla tonalità e dal contesto in cui esse vengono declinate. Le parole negro o nero in sé non sono offensive lo diventano solo se esse sono espresse in modo e in un contesto in cui si vuole disprezzare qualcuno, ma la parola in se non è sinonimo di disprezzo. Il termine sporco negro ma anche sporco bianco che sicuramente in modo lessicale indicano qualcosa di non pulito se dette in un contesto e in una modalità litigiosa è una offesa ma se detto in un contesto amichevole e scherzoso può essere un complimento affettivo. Molti pseudo intellettuali danno una valutazione ideologica al termine, associano alla parola negro solo il significante dispregiativo, come se quella parola rappresentasse tutta la storia dello schiavismo coloniale omettendo a se stessi che lo schiavismo purtroppo esiste dai tempi dei faraoni.
“L’illusione più pericolosa è (che le persone possano pensare) che esista soltanto una unica realtà” “Ogni sistema(mentale) che abbia trovato un proprio equilibrio, tende a mantenerlo, resistendo agli stimoli di cambiamento” Paul Watzlawick. La nostra realtà è rappresentata dalle quantità e qualità delle parole che conosciamo, per poterla rappresentare, ad esempio: “l’unione delle lettere c-a-s-a, riproduce nella nostra mente ciò che tutti sappiamo, ovvero una casa, ma avrebbe potuto rappresentare anche una nave o un grattacielo. Non esiste un’analogia strutturale tra casa reale e la sequenza delle lettere c-a-s-a: il fatto che essa ci ricordi un tipo di abitazione è il risultato di una convenzione codificata nella nostra lingua. Questo meccanismo fa si che le parole assumono un significato rispetto alla nostra cultura e alla nostra storia. Se una cultura assume di una parola solo il significato di una esperienza storica recente o soggettiva della propria esperienza si realizza una manipolazione o limitazione della realtà. Questa moda di voler coniare nuove parole per rappresentare qualcosa che già esiste, assomiglia alla modalità dello struzzo che preferisce mettere la testa sotto terra per non vedere la realtà, la realtà che in questo caso è comprendere ciò che produce odio o disprezzo verso una persona. Queste persone pensano che cambiando il termine si sia eliminato il problema, potremmo definire questo atteggiamento (buonista o politicamente corretto) ipocrita e falso come colui che pulisce e mette la polvere sotto il tappeto. Certamente esistono parole di uso comune che possono essere considerate volgari ma questo non vuol dire che ciò che è volgare sia offensivo, ma se si offende già la legge prevede sanzioni.
Un termine volgare se da un lato rappresenta anche il livello culturale di chi lo esprime dall’altro è anche una caduta di stile se si fa riferimento a persona di riconosciute competenze linguistiche. Questa mentalità distorta di condannare le parole e non il contesto della modalità in cui esse vengono espresse produce nella realtà una legislazione repressiva che limita la libertà di opinione e determina un libero arbitrio della magistratura. Oggi si parla di introdurre il reato di omofobia. Certamente usare violenza su una persona è già un reato, per cui l’omofobia può e deve essere un aggravante (come l’odio razziale o religioso) ma non un reato specifico. Stesso atteggiamento deve valere per la discriminazione che già nel nostro ordinamento è considerato un reato a cui può essere aggiunto un aggravante, ma forse l’aggravante maggiore sono i tempi della giustizia e la sua arbitrarietà che non dà certezza alle vittime. Gramsci intuì la sindrome di Pilato quando disse giustamente: Odio gli indifferenti, per cui non credo che qualcuno voglia condannare o censurarlo per questa frase. L’odio lo si combatte con l’educazione al rispetto della persona, con la capacità di gestire la rabbia che esso produce, combattendo anche la cultura del nemico come sfogo e proiezione delle proprie responsabilità. Freud scopri il meccanismo della proiezione in difesa di un Io debole che scarica sugli altri le proprie responsabilità, un atteggiamento tipicamente infantile, e non vorrei che molti di questi moralisti censori utilizzano queste battaglie ideologiche non per risolvere il problema ma per mettere a tacere i loro sentimenti di odio verso gli altri e così pulirsi la loro coscienza, avendo poi la legittimità esclusiva di poter odiare coloro che non si piegano ai loro ordini indicandoli come odiatori.