lunedì 12 luglio 2021

Relativismo Culturale e Ddl Zan

 

Freud ci ha insegnato che tutti abbiamo diverse fasi psicologiche nello sviluppo della persona, tra queste fasi c’è quella omosessuale, da lui considerata come una fase di transizione dello sviluppo umano, non a caso l’omosessualità è stata per molto tempo considerata una malattia psichica e moralmente come una perversione, mentre nel passato l’omosessualità era considerata una variante rispetto alla normalità. Si, ma il problema dei problemi è comprendere cosa si intende per normalità. 

L’antropologia ci insegna che questo concetto varia nel tempo e nelle culture, ma le sue evoluzioni hanno sempre tenuto presente almeno un parametro quello biologico sulla riproduzione della specie ed anche il suo mantenimento. Mentre il primo è chiaro il secondo evolve con la conoscenza e la cultura che ne deriva. Se applichiamo la teoria evoluzionista alla cultura possiamo dire che quando essa nel suo processo costante del divenire si scosta dalla sua funzione primaria e cioè l’esistenza della specie essa perisce. Dunque  la funzione primaria della sessualità è la procreazione, l’evoluzione culturale ha elaborato anche il piacere del sesso fine a se stesso. In questa prospettiva  la sessualità tende alla ricerca del piacere  che si manifesta sia in modo etero che omosessuale, visto che l’obbiettivo non è più la procreazione, anzi nel mondo giovanile, essa si ispira a modelli culturali libertari i quali, grazie alla scienza, esistono metodi anticoncezionali proprio per evitare la procreazione.

 Inoltre Freud ci ha insegnato che di norma coloro che provano sentimenti forti di disgusto o di panico violento verso l’omosessualità sono persone che non hanno saputo affrontare la loro omosessualità e dunque potremmo definire gli omofobi degli omosessuali  che si vergognano della loro propria omosessualità.  Comunque chiunque usi violenza verso un altro essere umano, va  condannato  con gli eventuali aggravanti. Ma  da qui, proporre modelli comportamentali educativi legati alla omosessualità come modelli eguali a quelli eterosessuali è da ignoranti nel senso etimologico del termine. Una cosa è educare al rispetto della diversità altro è proporlo come modello della normalità. Possiamo definre l'omosessualità un comportameto moralmente lecito e tutelato in un sistema democratico. Non a caso  in entrambi i casi (etero e omo) oltre al desiderio sessuale che si vuole appagare è sempre presente la componente emotiva affettiva che possiamo definire attrazione/innamoramento/amore, che hanno sicuramente pari dignità, sia se si esprimono tra una coppia etero sessuale che omosessuale. 

Oggi si parla molto di una società liquida, la quale ha trovato nella teoria del relativismo scientifico, un alibi per un relativismo culturale che nega la verità e dunque la verità scientifica. La vita e la morte sono uguali per tutti, ma il loro percorso e la loro fine per quanto composte degli stessi sentimenti, sono profondamente diversi nella realizzazione dei vari individui, ma tutti hanno un punto in comune che è la procreazione come mantenimento della specie umana. La cultura liberale è quella cultura che permette in questo paradigma, la libertà del proprio piacere ma vincola l’ordinamento alla tutela della specie umana. Purtroppo una pseudo cultura liberale impregnata di un mal concepito egualitarismo sociale, pensa con un retro pensiero marxista che tutto è uguale  che non esistono le differenze, e se esistono sono diseguaglianze per cui meritano di essere eliminate, dunque si confondono diritti  con principi astratti e desideri. Sono le stesse mentalità che in un sistema democratico consideravano giusta la violenza proletaria per eliminare una ingiustizia sociale vera o presunta, oggi si parla di generi  ma la realtà  scientifica ci dice che sono sempre due. Questo Ddl Zan pone un problema nel rapporto tra Natura e Cultura, la natura non può che confermarci che i generi sono 2, la cultura in questo corto circuito, relativistico, invece di dirci che le sensibilità possono essere diverse nell’animo umano e che ovviamente vanno rispettate, ha la pretesa di voler modificare una realtà vera con una che non esiste mediante legge. Purtroppo la cultura utopica che pensavamo di aver sconfitto con la fine dell’egualitarismo comunista, si ripresenta sotto le mentite vesti dei diritti, ma in realtà si segue un sogno, un mito, che se si realizzasse sarebbe una orribile prigione, anche per chi oggi la invoca. Queste utopie libertarie invece di scegliere la strada riformista che prevede una crescita culturale sul rispetto delle persone e delle loro scelte  sessuali che vanno tutelate scelgono la strada giustizialista  a loro più consone avendo come modello non la società liberal democratica che li ha fatti crescere ma quella giacobina e dunque autoritaria, che è affine  per alcune minoranze alla loro visione elitaria ed individualistica della società. Mi lascia perplesso il silenzio in questo campo da parte delle istituzioni universitarie, ordini professionali, e del mondo della cultura in genere  come se affrontare  questi argomenti in un confronto aperto sia pericoloso, per cui diventano i vari Fedez  i santoni del pensiero moderno, mentre questo dovrebbe essere un  dialogo tra persone competenti  e non burattini da avanspettacolo.

 


 

giovedì 8 luglio 2021

il mio contributo: COVID Opportunità o minaccia alla stabilità Politica ed economica?

 

Premesso che non credo ai complotti, premesso che sono consapevole che il virus c’è,  premesso  che l’utilizzo del termine negazionismo  offende la memoria dell’Olocausto, premesso che sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico, premesso che esistono e, purtroppo, sono sempre esistiti ignoranti, cinici, arroganti, egoisti, deficienti e persone con ego spropositato e delirante, premesso che criticare non vuol dire negare, ma evidenziare possibili criticità, premesso che  scaricare la responsabilità propria sugli altri è una malattia tipica dell’infantilismo umano e politico, premesso che la matematica è una scienza esatta, mentre la statistica può essere manipolabile, premesso che la cultura democratica  in un paese che si dichiara tale, vuol dire criticare chi sta al governo e si riserva di criticare chi potrà subentrare al governo, con la speranza che chi è stato criticato, stando all’opposizione possa ritornare al governo avendo fatto di ciò una opportunità  per governare meglio; questo procedimento in democrazia si chiama alternanza tra le forze politiche. Ultima premessa riguarda la cosiddetta cultura dell’emergenza a cui è stato abituato il Paese, per la quale le varie tutele democratiche di volta in volta sono sospese senza che poi vengano ripristinate o si lavori per evitarle in futuro.

La pandemia è diventata emergenza perché fin dall’inizio, sia il centro destra che il centro sinistra l’hanno sottovalutata, con l’unica differenza che l’iniziativa spettava e spetta a chi governa.  Il 31 gennaio il governo, senza dire niente al Paese decreta lo stato di emergenza e non attiva nessuna procedura emergenziale, come ad esempio fare approvvigionamento di ausili di protezione (mascherine, tute, dare disposizioni alle regioni per allertare strutture sanitarie etc.). Inoltre il non aver favorito le autopsie per quasi un mese (per quanto comprensibile, nel panico del momento, è stato un comportamento grave ed irresponsabile da parte del Ministero della Sanità) ha impedito di comprendere cosa cagiona il virus nel nostro corpo prima di diventare letale, come tutte le malattie non curate, e dunque individuare una cura possibile. La stessa scelta di una chiusura totale di tutto il Paese senza distinguere le varie situazioni di contagio, sono un segnale tipico dell’incompetenza che comunque poteva avere un minimo di giustificazione dovuto alla criticità del momento. Oggi dopo 10 mesi dalla dichiarazione dell’emergenza non è stato fatto nulla per contrastare la seconda ondata, già prevista, e ci conferma l’inadeguatezza del governo e l’incompetenza dei suoi rappresentanti. In questi mesi tanta pubblicità di norme con protocolli contrastanti e procedure incomprensibili.

Luigi De Marchi in un bellissimo libro “Scimmietta ti amo” ci dimostra come la religione prima e la cultura dopo nascono per il bisogno dell’uomo nel dare un senso alla vita ed  esorcizzare la paura della morte. Senza volervi tediare sulle profonde analisi psicosociali del Prof. De Marchi, consiglio, nel prossimo lockdown, di leggerlo. In questa sede tengo a sottolineare come la morte e la vita siano esorcizzate dalla notte dei tempi mediante le speculazioni filosofiche sulla umana natura, ma anche con il canto, la poesia, la musica, la narrativa ed ovviamente con le religioni. Ogni cultura ed ogni religione ha trovato modi come accettare e affrontare la paura della morte, tramite i riti, le preghiere e le commemorazioni, essendo essa un aspetto simbiotico della vita, che, per quanto vogliamo negarla, è ineluttabile. La morte è il simbolo della nostra precarietà, non a caso in molte persone c’è una ricerca carsica, ma spasmodica dell’onnipotenza che si manifesta anche come ricerca della perfezione, che ovviamente, nonostante gli sforzi prodotti, non si riesce mai a raggiungerla, perché non ci appartiene. La stessa morte, se accettata come ineluttabile, può essere uno stimolo alla vita vissuta come opportunità che ci è stata donata. In un altro bellissimo libro “Psicologia della paura” di Anna Oliviero Ferraris apprendiamo che la paura è un istinto alla vita, non solo per la produzione di un ormone, in grado di suscitare emozioni uniche, l’adrenalina, ma ci permette di predisporre il nostro corpo a reagire. La professoressa ci fa notare che, mentre negli animali la paura è un campanello di allarme che permette loro di reagire mediante la fuga o l’attacco, nell’essere umano si manifesta anche un altro comportamento che si chiama immobilismo. Quante volte abbiamo sentito dire sono rimasto bloccato dalla paura, non riuscivo a muovermi, ero paralizzato, non riuscivo a parlare etc. Questa anomalia la si può far risalire alla cultura, intesa come crescita che ci fa perdere il nostro rapporto con gli istinti, quante volte abbiamo sentito dire che una crescita equilibrata è possibile se nella crescita non uccidiamo il bambino che è in noi?  Per cui, mentre per gli altri mammiferi la paura è un modo come proteggere la vita dai rischi della morte mediante lo sviluppo di azioni reattive, nel mammifero umano può diventare una prigione della stessa sua vita.   

La voglia di vivere è innata non solo nell’uomo, ma nella stessa natura, se guardiamo la storia l’uomo notiamo che supera la paura della morte solo quando deve lottare per sopravvivere, ed è disponibile in questo caso a sfidare sia altri uomini, ma anche le forze della natura. Per quanto questo è vero, tutti i moti di ribellione, le rivoluzioni, sono sempre state portati avanti da minoranze, che una volta venivano chiamate marxianamente le avanguardie: cioè coloro che consapevoli per cultura o per disperazione rischiano la vita per vivere meglio o per realizzare i loro ideali.  Sono avanguardie perché il resto del popolo non protesta per la paura della morte sua o della sua famiglia, altrimenti dovremmo pensare che vivere sotto una dittatura deve essere positivo, visto che nel mondo le democrazie sono poche. Incutere la paura, pertanto, è un modo come controllare il popolo, non a caso in un altro bellissimo libro di Michel Foucault “Sorvegliare e punire” viene raccontato l’utilizzo pubblico della espiazione della pena (che sia essa impiccagione, ghigliottina o la semplice gogna), per intimorire il popolo nei confronti delle norme dispotiche del sovrano di turno. Questi metodi, che oggi consideriamo barbari, sono stati aboliti non solo perché barbari, ma perché il “potere” si è reso conto che determinavano nel popolo un profondo odio verso il sovrano. Oggi nei sistemi democratici si è determinato da un lato una miglior consapevolezza dei propri diritti insieme ad una desacralizzazione della religione e dunque una atomizzazione della coscienza individuale della morte, dall’altro il potere ha sviluppato meccanismi per il consenso più raffinati, grazie anche alle nuove tecnologie che sono maggiormente pervasive verso l’individuo.  In questo mondo globalizzato, l’economia, il turismo, lo scambio sociale e l’informazione sono i vettori che determinano l’appartenenza al nostro mondo: un incendio in Australia, che in altri tempi si sarebbe saputo dopo mesi, oggi lo possiamo vedere in diretta, diventando noi spettatori e fruitori, anche se virtuali, del mondo. Aldilà della ormai evidente incapacità dei nostri governanti nella gestione della pandemia, l’aspetto che mi ha meravigliato è l’emergere delle caratteristiche personali di una classe politica sia nazionale che locale, sia di destra che di sinistra, pavida e ignava. Nella gestione della pandemia è emerso il loro lato nascosto, con comportamenti da sceriffo che si dibatte tra una responsabilità ignorante e il piacere dell’autoritarismo e comportamenti schizofrenici tipici dell’incompetenza. Questi eventi ci segnalano la mancanza di una classe politica perché l’obbiettivo di Mani Pulite è stato quello di uccidere la Politica e dunque eliminando i veri partiti, che sono stati il collegamento strutturale tra i cittadini e le istituzioni. In questi giorni nel paese emergono moti più o meno spontanei di ribellismo da parte di quei ceti sociali che stanno pagando duramente le ultime scelte del governo nel chiudere le attività di economia sociale alle 18 che ovviamente per loro rappresenta il preludio alla chiusura, dopo aver superato un lock-down ed un’ estate di magra.

L’incapacità di questa classe politica mette a dura prova il sistema Italia o si muore di Covid o di fame? Credo che possa esistere un equilibrio tra questi due aspetti. Certamente la gestione mediatica della Pandemia, più che aiutare ad affrontare il problema, è diventata il problema sia per l’intasamento dei pronti soccorsi, dovuto all’allarmismo da loro provocato con bollettini di guerra, ad apertura dei Tg e dei programmi di intrattenimento ormai monotematici. Possiamo dire che in questi mesi i media più che informazione hanno fatto da amplificatori sociali del contagio nei confronti della psiche dei cittadini, per non parlare dei numeri enucleati a loro sostegno, in modo statisticamente non corretti e di non facile comprensione. Tutto ciò è voluto? Non credo, la stupidità umana nel rincorrersi nell’ emulazioni può avere effetti valanga per ottenere il maggior numero di share, cosi come avviene nei social con i like. Girano molte leggende metropolitane sugli interessi dietro la pandemia, personalmente credo poco a pianificazioni preventive, mentre credo molto che quando si determina una situazione c’è sempre chi cerca di trovare il proprio o i propri tornaconti, per cui ci si inserisce in una situazione e si cerca di ottenerne profitto. Questa logica è trasversale in tutti i ceti sociali e dipende dalle singole responsabilità morali. Capisco che è più facile credere al complotto o al cattivo di turno da indicare come responsabile delle nostre disgrazie, ma questa non è la realtà. Noi italiani, per esempio, siamo responsabili di aver dato fiducia a questi scappati di casa del movimento 5 stelle, noi italiani siamo responsabili di aver creduto a Mani Pulite, noi italiani siamo responsabili di credere ai sovranisti quando dicono che la colpa della nostra crisi dipende dall’Europa o dell’euro, e potremmo continuare ad elencare le responsabilità che abbiamo come cittadini. Certo noi cittadini siamo stati bombardati da informazioni false o devianti, ma ciò non giustifica le scelte sbagliate che il popolo, legittimante, ha operato.  Alla base di queste scelte errate c’è una visione manichea che vuole catalogare gli esseri umani in buoni e cattivi, bianco e nero, ciò è dovuto ad una mancanza di consapevolezza di essere ognuno di noi un portatore sano sia del bene che del male. Negare questa evidenza è utile per la crescita di una falsa autostima ed identità, in cui si proietta il bene solo a sé stessi e alla propria comunità, gruppo, religione, fans, etnia, etc. mentre il male appartiene a chi non la pensa come noi.

Per concludere, dalle crisi si può uscire solo in due direzioni: ripiegandoci su noi stessi facendo le vittime e dando la colpa ad un fantomatico altro (come nelle partite di pallone quando si perde non è perché la nostra squadra ha giocato male, ma è colpa dell’arbitro etc.) oppure scegliere di andare avanti con più determinazione facendo virtù del passato.  Per cui la prima cosa da evidenziare è che da questa crisi non si esce da soli, ma solo con una strategia europea ed in particolare dei paesi della zona euro. Il nostro paese, che ormai ha un debito al difuori di ogni parametro, ha il dovere di fare le riforme che gli competono, ma da sempre rinviate: semplificazione burocratica ed adeguamento agli standard europei dei paesi più virtuosi, riforma mediante assemblea costituente della attuale costituzione  nel riorganizzare le competenze tra i vari poteri dello stato, riforma della giustizia, elezione diretta del premier con doppio turno alla francese, prediligere i finanziamenti europei verso investimenti produttivi e sanitari (perché uno dei motivi della crisi pandemica è dovuto alla irrilevanza della struttura sanitaria nel rapporto tra posti letto e popolazione, hanno dimezzato gli ospedali in favore della sanità privata invece di mettere i sistemi in competizione come sarebbe stato utile). Oggi abbiamo la condizione di ridiscutere con i nostri partner europei come rimettere in moto il progetto europeo: ridiscutere i parametri, realizzare la stessa politica fiscale in tutta Europa evitando così il dumping fiscale, stessa politica estera e di difesa, come primi pilastri dopo l’euro, per gli Stati Uniti D’Europa. Per il nostro paese può essere l’unica opportunità per uscire dal buio tunnel che questi 30 anni di seconda repubblica ci hanno confinato. Aldilà di questo governo di incapaci e di una opposizione deludente, la crisi economica mondiale, dovuta alla pandemia, ci fa più che mai comprendere che in questo mondo, volente o nolente, globalizzato, l’unica via Maestra, per i paesi di cultura occidentale, per uscire dalla crisi è    rafforzare l’unione Europea dando maggior ruolo al Parlamento fino a giungere ad un Governo Europeo espressione del Parlamento e dei suoi partiti.

Roberto Giuliano

 


 

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