lunedì 27 ottobre 2025

La manipolazione culturale nell’era digitale: gli iscritti al PD vittime della finestra di Overton

 

La manipolazione culturale nell’era digitale:

gli iscritti al PD vittime della finestra di Overton

Dividi et impera è la nuova modalità con cui in Italia si fa politica, grazie anche ad un decadimento culturale generale della classe politica ma in particolare dell’attuale opposizione, anche se avvolte mi sovviene il dubbio che è comodo essere ignoranti per non pagare il dazio della responsabilità.

Questa polarizzazione della politica sta infettando il Paese: qualunque argomento non è elemento di confronto e/o di possibili convergenze nell’interesse del bene comune o di un possibile Senso dello Stato, ma elemento divisorio che produce la tipica tifoseria identitaria che è l’ossigeno che alimenta la furia ignorante del qualunquismo popolare. Gli artisti di questo imbarbarimento son gli pseudo giornalisti intellettuali, che grazie ai media e ai talk show hanno espropriato i politici e la politica del suo ruolo di orientamento e di progettazione del futuro.  

 L’agenda politica viene costruita non sui bisogni del Paese, ma sugli argomenti che hanno una forte caratterizzazione emotiva che favoriscono la polarizzazione che obnubila: la realtà, la logica, il pensiero critico. Gli esempi sono molteplici: confondere un massacro con un genocidio, favorire l’antisemitismo mediante il conflitto con Hamas, offendere o provocare l’avversario con l’obbiettivo di definire una eventuale risposta come cultura dell’odio, utilizzare termini infamanti, funzionali per disegnare e propagare una falsa realtà, alfine di mobilitare il loro ristretto elettorato di militanti con la paura del fascismo o la fine della democrazia.

Questa tattica sfrutta la leva emotiva per sviluppare una forma di autoritarismo subliminale (non percepito come tale) contro gli avversari, i quali vengono percepiti come nemici privi di diritti (poiché non conformi al loro pensiero ritenuto corretto). Tali avversari vengono bollati come "fascisti" o addirittura "non umani". Chi agisce così non riconosce il danno arrecato alla democrazia, credendo di incarnare la democrazia stessa, in quanto il loro pensiero è la democrazia per antonomasia.  

Quando la politica dell’opposizione assume il No a priori come elemento che da senso alla sua azione politica mediante la polarizzazione può determinare inconsapevolmente danni irreversibili alle istituzioni democratiche. Un ultimo esempio di questa follia politica è il confronto scontro che si è consumato in Europa sulla modifica del metodo decisorio del Consiglio dei Capi di Stato e dei Capi di Governo: essi decidono generalmente per consenso, ma in alcuni casi può votare all'unanimità o a maggioranza qualificata a seconda della materia. Le decisioni che prevedono l’unanimità sono: La politica estera e di sicurezza comune (PESC), L'adesione di nuovi Stati membri all'Unione europea, La sospensione dei diritti di voto di uno Stato membro, Le finanze dell'UE, inclusi il quadro finanziario pluriennale, L'armonizzazione della legislazione nazionale in materia di imposte indirette e sicurezza sociale. Questa volontà di togliere il diritto di veto ai singoli stati, viene presentata come il favorire il principio democratico, scelta che il governo italiano insieme ad altri stati non ha condiviso.  Anche su questo la cosiddetta sinistra ha trovato modo di fare polemica. Non si tratta di affermare un principio di sovranismo nazionale ma di garantire la sovranità dei singoli parlamenti e dei loro legittimi interessi finché non si realizzano gli Stati Uniti d’Europa. Non si può delegare ad una forma burocratica decisioni che competono ai cittadini europei ad una Unione che non risponde né al Parlamento europeo né ai singoli Parlamenti europei, i quali il più delle volte si trovano ad approvare o meglio a ratificare decisioni prese dalla Commissione Europea.

C’è una deriva culturale antidemocratica in occidente che si esprime come democratica, si utilizza la morale per sovvertire le regole democratiche condivise e si richiede il rispetto delle stesse quando invece esse si devono applicare ai propri amici o parte politica.  Questo strabismo democratico si realizza con il combinato disposto dei media e social che orientano polarizzando il confronto politico in scontro politico costante.

Quella che noi oggi chiamiamo sinistra è l’involuzione culturale del vecchio Partito Comunista, il quale certamente era portatore di una cultura autoritaria ma aveva anche un forte senso dello Stato che ha sviluppato all’interno degli accordi di Yalta.  Con il venir meno del comunismo sovietico e dunque dei finanziamenti e del ruolo all’interno del sistema politico italiano, essi  nel riposizionarsi, invece di scegliere il socialismo democratico, decidono di accreditarsi a livello internazionale sposando le tesi della finanza che supporta i democratici americani, e dunque praticare nei fatti, politiche neoliberiste (le privatizzazioni e la svendita delle aziende pubbliche), presentandoli, grazie alla stampa amica, come efficienza del sistema democratico, dichiarandosi paladini di una nuova visione della cultura liberale.

In questa involuzione culturale costante si abbandonano le battaglie per la giustizia sociale o equità sociale per diventare i paladini delle battaglie sui diritti civili, ma essendo di cultura illiberale gli stessi diritti civili li trasformano in ideologia e dunque imposti come una clava contro chi dissente dal loro modo di realizzarli. La stessa involuzione avviene dentro il PD, da ex Partito Comunista che regolava la sua democrazia interna mediante il centralismo democratico (un ossimoro) si arriva gradualmente ad un partito senza regole democratiche tradizionali, utilizzando anche al proprio interno la finestra di Overton con la realizzazione delle Primarie: imitazione di quelle americane ma senza le regole americane. Esse vengono presentate ai propri iscritti come un ampliamento della democrazia dentro il Partito, un Partito che si apre alla società, ma nei fatti è una vera e propria delegittimazione degli iscritti: la militanza viene svuotata di senso, ridotta a orpello, mentre il diritto di eleggere il segretario — che spetterebbe agli iscritti — viene di fatto espropriato dalle primarie. In questo modo il partito non è più una comunità politica, ma un terreno di caccia per lobby e comitati di potere organizzati. Ho sempre avuto un dubbio, se il travaglio per il loro nuovo nome da PCI, PDS, DS oggi PD è un retaggio della vecchia filosofia comunista dove aggiungevano il termine democratico per “conformarsi” o emulare i partiti democratici occidentali o un patto di sudditanza/lealtà verso il Partito Democratico Americano come era una volta al Partito Comunista Sovietico.

Questa deriva va contrastata con un nuovo sistema elettorale che impedisca la polarizzazione e favorisca la rinascita delle comunità politiche che liberamente decidono le alleanze, ovviamente faccio riferimento ad un ritorno del proporzionale senza sbarramento e vincoli di alleanze al primo turno e al secondo si valutano le alleanze in base ai contenuti, supportandolo con un ritorno del finanziamento pubblico. Credo che se fossimo nella prima repubblica il campo largo non potrebbe esistere essendo una aggregazione politica non di governo, perché in essa predomina il tutto e l’opposto del tutto, in politica estera, politica sociale ed economica, ed è la rappresentazione plastica della tossicità di questa “sinistra” politica senza responsabilità, ed essa è si un vulnus alla democrazia, alla quale serve una sinistra  democratica che oggi non c'è.  

Per paradosso hanno creato le condizioni di

ricreare un centro destra che sarà simile alla

vecchia DC.

 

 


 

domenica 12 ottobre 2025

La Politica da confronto Ideale a Conformismo aggressivo

La Politica da confronto Ideale a Conformismo aggressivo

Il conformismo è un comportamento: “Abitudinario, acritico, piatto adesione e deferenza nei confronti delle opinioni e dei gusti della maggioranza o delle direttive del potere.”  Possiamo dire che il conformista non pensa: ripete. Di norma l’appellativo conformista viene sempre dato a coloro che rispettano le regole in quanto si intendono funzionali al potere costituito, ma esiste anche il conformismo di chi si oppone al conformismo “della maggioranza”, è un conformismo “della minoranza” che potremmo definire un “conformismo rivoluzionario” cioè un comportamento in cui una persona non solo si conforma alle norme sociali, ma cerca anche di imporre tali opinioni o comportamenti ad altri con un atteggiamento  aggressivo,il tutto funzionale alla polarizzazione ormai caratteristica strutturale del sistema politico e mediatico del Paese.

Lo possiamo notare nel dualismo della politica internazionale: se sei per l’Ucraina devi essere pro Israele o l’opposto, egualmente se sei pro Russia devi essere pro Hamas (intendendo come pro Palestina) e ovviamente l’opposto. Anche i termini devono essere estremizzati per aver un consenso ignorante, affermare che c’è una guerra “è banale” per il senso comune, mentre un “genocidio” ottiene un maggior impatto emotivo, stessa accusa è stata ipotizzata nel conflitto Russia/Ucraina ma, essendo due eserciti regolari, questa proposta di lettura non ha trovato audience, mentre è oggettivo che la Russia ha invaso l’Ucraina per cui il messaggio mediatico che deve polarizzare è l’aggressione. I due poli si confrontano e si scontrano utilizzando due messaggi: i pro Hamas accusano Israele e l’Occidente di essere complici di genocidio, mentre l’Occidente accusa la Russia di aver aggredito l’Ucraina e di voler invadere l’Europa.              

In questo scontro polarizzato l’obbiettivo non è risolvere il problema cercando di comprendere le motivazioni (perché esse esistono giuste o sbagliate che siano, essendo soggettive), ma è quello di avere un consenso non informato, per cui si attua una comunicazione polarizzante. Personalmente ritengo che la Russia per quanto paese che aggredisce l’Ucraina non abbia tutti i torti, mentre ritengo che Israele si sta difendendo da una guerra strisciante che è esplosa in modo orribile dopo il 7 ottobre.

In fin dei conti è nella storia dell’uomo la ricerca del cattivo da indicare al popolo, anche Gesù subì il pubblico ludibrio, è cosi atavico questo meccanismo psicologico che garantisce al potere un consenso facile grazie agli utili idioti che si sentono intelligenti.

Le parole, per quanto in sé neutre, servono a definire e descrivere la realtà. Tuttavia, attraverso un uso strategico dei media e della comunicazione, il loro significato originario può essere progressivamente modificato o banalizzato. Chi si occupa di marketing — compreso quello politico — sa bene che la nostra percezione della realtà dipende dalle parole che usiamo e dal significato che attribuiamo a loro.

Banalizzare una parola ha un duplice effetto: da un lato le si toglie parte della sua forza emotiva originaria, dall’altro la si trasforma in uno slogan ancora capace di attivare reazioni immediate e di mobilitare le persone.

Un esempio emblematico è l’uso contemporaneo dei termini fascismo e fascista (ma in misura minore anche comunismo). Mentre fascismo viene spesso impiegato per definire genericamente qualsiasi atteggiamento percepito come autoritario, perdendo così il suo significato storico preciso, comunismo in Occidente è raramente percepito come autoritario, ma piuttosto come schieramento a favore dei “deboli”. In entrambi i casi si assiste a una semplificazione linguistica che nasconde la complessità storica e ideologica dei concetti. Fascismo e comunismo sono parole usate per definire un comportamento autoritario umano, facendo perdere a questi termini il loro significato storico e orrendo che hanno avuto per chi li ha vissuti. Inoltre si omette la consapevolezza che l’autoritarismo è un possibile tipico comportamento di ogni essere umano.

Questa manipolazione semantica produce una semplificazione cognitiva di concetti storici complessi che vengono ridotti a etichette emotive, creando polarizzazioni che ostacolano una comprensione critica dei fenomeni sociali e politici, creando l’illusione di un sapere immediato ma superficiale.

Abbiamo molte parole che vengono usate in modo distorsivo: libertà, islamofobia, teocrazia, democrazia, genocidio, razzismo, omofobia, anormalità, destra e sinistra, tutte parole che hanno un significato preciso, ma che possono assumere un senso diverso e, in alcuni casi, opposto o usate come anatema nel momento in cui, banalizzandole, diventano una ideologia e dunque con una carica emotiva.

Destra e Sinistra non sono più le categorie del 900, una volta il termine sinistra, nella prima Repubblica, non era divisivo, anzi lo si usava poco, si impiegavano i termini socialisti, comunisti, extraparlamentari di sinistra, il termine sinistra lo si usava tra le correnti, la sinistra democristiana, quella liberale, quella socialista, l'identità non era data dal termine sinistra, ma l'essere un socialista, un liberale, un democristiano o un comunista, qui sta la bolla mediatica del termine sinistra, un calderone dove c’è di tutto e l’opposto di tutto senza distinzione valoriale, basta stare a sinistra per avere ragione.

La Libertà è intesa come libertà di fare quello che si vuole, perché dissociata dal termine responsabilità; Democrazia un insieme di regole che valgono, a proprio comodo, per sé stessi, ma si negano agli avversari che diventano nemici e, dunque, non hanno diritto al rispetto delle regole condivise.

Il termine Normalità è un termine scientifico che determina il ripetersi di un evento che capita in certe condizioni, e anormalità ne è l’opposto, non è un termine che dà giudizio su una persona, tranne che gli si dia un significato ideologico che la parola in sé non ha.

Termini come genocidio e razzismo rappresentano concetti storicamente e simbolicamente forti, capaci di suscitare un’immediata reazione emotiva. La loro forza evocativa li rende frequentemente strumenti retorici che ostacolano la riflessione critica e il confronto razionale. Analogamente, omofobia e islamofobia veicolano contenuti fortemente connotati: evocano discriminazione e suscitano empatia, poiché rimandano a esperienze personali o collettive di esclusione sociale.

Questa carica emotiva li rende facilmente utilizzabili in modo strumentale all’interno di dinamiche manichee, dove la propria posizione viene presentata come moralmente indiscutibile, delegittimando ogni visione alternativa. Nel caso di islamofobia, la questione è ancora più complessa, poiché il termine, pur segnalando una discriminazione reale, può contribuire a oscurare il dibattito sui rischi connessi a concezioni teocratiche radicali, in contrasto con i principi democratici occidentali.

In tale contesto, il linguaggio diventa un potente meccanismo di polarizzazione: costruisce identità di gruppo artificiali, amplifica le emozioni e ostacola la comunicazione tra le parti. La figura del “traditore” serve a preservare la coesione interna, mentre l’avversario viene rappresentato come nemico. Lo stesso termine Pace viene distorto se non sono chiari i contenuti, e può essere usato come una clava ideologica, proprio per la sua evanescenza, nei confronti delle vittime

La potenza dei media e dei social è fondamentale nel gestire queste modificazioni culturali, sia da un punto di vista cognitivo che politico, la mancanza di cultura in generale, il risparmio energetico della memoria e l’assenza di luoghi sociali di dialogo e di confronto, favorisce questa anomia sociale che utilizza le connessioni dei social come fonte di verità.  C’è la necessità di “un vigile” nel traffico social che non faccia necessariamente multe, ma sappia controllare le patenti e segnalare agli utenti quelle false o bot. “La tirannia del conformismo è più subdola di quella dei dittatori: perché agisce dall’interno.”Albert Einstein

 


 


La manipolazione culturale nell’era digitale: gli iscritti al PD vittime della finestra di Overton

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