lunedì 20 febbraio 2023

Gli stereotipi e i pregiudizi: La Morte della Politica

Gli stereotipi e i pregiudizi: La Morte della Politica

“No, non sono andata a votare (il referendum) perché l’ha proposto la destra ed io sono di sinistra” queste parole le ho sentite mentre facevo la fila in un negozio, questa affermazione ha una logica sottointesa: ciò che dicono coloro che sono considerati di destra è sbagliato a priori. Pertanto si rinuncia a valutare il contenuto di qualunque proposta, basta etichettare colui o coloro che la esprimono come di Destra, etichetta infamante perché nel sub conscio destra è sinonimo di fascista. In modo diverso questo ragionamento viene fatto da coloro che si definiscono di destra nei confronti di ciò che dicono coloro che si definiscono di sinistra, in questo caso l’etichetta infamante è quella di essere comunisti.

Una cultura che si basa sui pregiudizi, sull’apriori, sullo stereotipo è il lievito per derive autoritarie e populiste perché utilizzano l’ignoranza di coloro che si abbeverano a questa visioni come carne da macello per i loro scopi antidemocratici, aizzando una parte del popolo contro l’altrà.

Questo modo manicheo di pensare ha radici profonde nella nostra cultura ed è il pensiero di base per lo sviluppo cognitivo che ovviamente è grave quando sussiste in età adulta.

Le radici profonde sono legate alla nostra storia, di un paese da sempre campanilistico e diviso nella sua storia dalla fine dell’impero Romano; l’Italia, terra di conquista di potenze straniere e di signorotti locali il più delle volte poco illuminati. Se da un lato questo essere terra di conquista ha arricchito culturalmente il paese, dall'altro ne ha ritardato l'unità politica e culturale. Il nostro è uno stato giovane ed è una democrazia giovane.

Il nostro essere stati terra di conquista, purtroppo, non ci rende immuni dall’esserlo ancora oggi, sia per la mancanza di una borghesia illuminata, per non dire stracciona, ma anche per la distruzione di una classe politica che per quanto non perfetta (la perfezione non appartiene al nostro mondo) aveva senso dello Stato, distruzione avvenuta mediante il golpe postmoderno mediatico giudiziario, di cui ancora ne paghiamo le conseguenze.

Il manicheismo si nutre di banalità, si nutre del dividi et impera, ha bisogno di un popolo senza memoria e il più ignorante possibile, affinché possa dividersi in fazioni, per scontrarsi costantemente sulle banalità presentate come identità.

Il manicheismo si propaga mediante un senso di appartenenza divisivo, nei fatti razzista, i tifosi di destra e di sinistra sono razzisti sotto mentite spoglie. Il loro bisogno di identità e comunità non avviene per cultura inclusiva, ma per odio verso coloro che non la pensano come loro, anche se poi si autodefiniscono tolleranti.  Ormai in molti luoghi, di cosiddetto approfondimento televisivo, assistiamo non a ragionamenti o a momenti di informazione/formazione, ma persone che fanno propaganda, essendo essa funzionale allo sviluppo del pensiero manicheo. Ovviamente non si ha nulla contro la pubblicità, ma la politica non è marketing, le idee non si vendono; nel Marketing pubblicitario si bombardano le persone affinché un marchio o un prodotto convinca i consumatori ad acquistarlo, in politica questa modalità crea solo tifoseria perché non c’è né ragionamento, confronto o dialogo ma solo appartenenza fine a se stessa.

Questa aberrazione manichea, avviene tramite la comunicazione, essa ha la necessità di utilizzare parole “positive” con il fine di rappresentare realtà virtuali identitarie per coloro  a cui arriva il messaggio ed ottengono una presunta consapevolezza che stanno dalla parte dei buoni. Un esempio può chiarire il discorso: “parlare di salario di solidarietà o riduzione di salario, diciamo la stessa cosa ma produce effetti diversi per chi ascolta o legge, qualcosa che probabilmente non lo toccherà, ma potrà dire: come sono bravi e solidali i lavoratori, in un caso o nell’altro dire: questa è una politica contro i lavoratori fatta dai padroni”. Altro esempio può essere quello che è accaduto nella fine degli anni 90’ quando il sindacato per proteggere un articolo dello statuto dei lavoratori, il famigerato articolo 18 accetta utilizzando un equivoco lessicale il termine flessibilità, ma nei fatti si è autorizzata la precarietà, il tutto spacciato per una grande conquista.

Dal 1992 il nostro Paese sta vivendo una americanizzazione della politica, e questo ha comportato uno svuotamento della politica, che l’Italia  ha avuto, con la scomparsa dei partiti cosiddetti di massa, delle sue sedi, della partecipazione popolare, della formazione e selezione di quelle che sarebbero diventate  le sue élite, grazie al funzionamento dell’ascensore sociale che quel sistema garantiva.

Non si vuole qui banale il sistema americano, e il problema non è l’America, ma le scopiazzature prese dal sistema istituzionale americano ed introdotte in modo gattopardesco nel nostro sistema, determinando un ipertrofia delle nostre istituzioni, perché non armoniche sia alla nostra cultura che alla nostra architettura costituzionale, innesti che hanno provocato un corto circuito istituzionale. Di esempi ne potremmo fare molti, dalla costituzione delle autorità di vigilanza senza un vero potere di controllo, perché configgente con quelli della magistratura, al paradosso di un ex partito comunista che nelle sue trasformazioni camaleontiche arriva ad autodefinirsi Partito Democratico come quello americano ed inventarsi delle primarie  che sono la brutta copia di quelle americane, forse per un atavico bisogno di trovare una propria identità per procura ieri rappresentanti del Pcus ed oggi del partito democratico americano, negando come sempre la prospettiva autonomista del socialismo democratico. Questa ubriacatura di nuovismo e progressismo americanizzante, ha visto in questi anni l’establishment orfano della prima repubblica in sintonia con gli ex comunisti, nell’essere i promotori di questa deriva culturale trovando nel berlusconismo e nel suo antiberlusconismo la linfa vitale per questo impoverimento culturale e dunque anche economico del Paese.    

Per un ritorno ad essere un "paese normale" (come diceva Dalema) sarebbe utile una nuova assemblea costituente per riparare i danni provocati da questi 30 anni di false riforme.

Roberto Giuliano





 

martedì 24 gennaio 2023

Stato Essenziale Società Vitale

 

Stato Essenziale Società Vitale

Che il mondo sia sempre in movimento ce lo confermano tutti gli scienziati, anche quelli  sociali relativamente al cambiamento costante della società. In entrambe i casi  l’essere umano, il cittadino non se ne rende conto.

Il libro di Maurizio Sacconi e Alberto Mingardi (edizione Studium) affronta questo tema con gli occhi degli scienziati sociali, i quali  percepiscono, intravedono e collegano cose che noi non sempre sappiamo cogliere nella loro acutezza e prospettiva sul divenire quotidiano.

La crisi economica  e la guerra sono fenomeni tragici di un legame che  nella loro evoluzione possono determinare, ed in parte già lo hanno determinato, una crisi mondiale. Gli autori ci ricordano che “l’economia è governata dalla logica delle convenienze… Va da sè che se facciamo friendshoring, se ci limitiamo a scambiare fra Paesi affini, la nostra capacità di effettuare “sostituzioni” si riduce drammaticamente. Infatti così facendo tendiamo a scambiare solo fra Paesi che sono allo stesso livello di sviluppo” , con questo approccio si determinerbbe un limite al diritto, all'aspirazione e alla crescita economico di popoli che hanno sistemi diversi dal nostro.

Gli autori ci avvisano  e mettono in evidenza che la politica ha un ruolo determinante solo se essa svolge un ruolo regolatore e di supporto alle imprese “sostituire la decisone politica con la decisone imprenditoriale” è rischioso.  Lo stato può e deve favorire le attività di sviluppo economico mediante legislazioni a sostegno, ma lo stato non può creare sviluppo ed occupazione intervenendo su quegli aspetti che competono all’imprenditoria come organizzarsi, come produrre,  la scelta dei materiali, dei  partners, dei mercati in cui operare. La politica non è un imprenditore e tale non deve essere, la politica ha il grande compito di tutelare le imprese italiane all’estero, dare certezza sulle regole ambientali e lavorative, affinché le imprese possano produrre e competere.

Ed è in questo contesto che gli autori guardano alla globalizzazione, che non può essere lasciata alla legge del più forte o del più furbo, ma regolata e gestita in modo multipolare, e denunciano che da anni  non si stipulano accordi internazionali sul commercio che tutelino gli scambi, i vari stati e i loro lavoratori.

Leggendo il libro una riflessione emerge, grazie alla loro analisi, che un nuovo ordine di regole mondiali dovrà sorgere, la stessa guerra in Ucraina, che è già rischiosa di se, è un brutto segno di questa deregulation, perchè dopo la fine di Yalta le super potenze non hanno stipulato nessun accordo di transizione per la gestione di una nuova fase di equilibri internazionali.

Il libro affronta la tematica del disagio sociale che è ovviamente il risultato di politiche economiche anche internazionali  disastrose dalla pandemia alla guerra che sta sconvolgendo tutto il mondo occidentale e non solo: “Il disagio sociale, al centro del lavoro di molti analisti, c’è, esiste ed attraversa tutti i Paesi occidentali, e non soltanto l’Italia, ma da noi si presenta in forma acuta.” 

Con questa affermazione gli autori analizzano le motivazioni strutturali delle difficoltà del nostro Paese, dalle scelte scellerate sull’energia, alla politica dei No a qualunque scelta infrastrutturale. Ciò è dovuto ad una politica debole, ubriacata da un falso ambientalismo ideologico e messianico. Nella loro analisi emerge in modo netto una critica alla burocrazia disfunzionale, alla magistratura irresponsabile, ma, oltre ad un critica lucida, gli autori propongono soluzioni e spunti di riflessione per un futuro sempre più vicino; "Ci rendiamo conto di non stare  suggerendo nulla nè di facile nè di immediatamente realizzabile... la lezione della "Seconda Repubblica" dovrebbe essere un amaro monito per tutti noi: a fermarsi in mezzo al guado, si finisce per sprofondare nel fango"


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giovedì 19 gennaio 2023

Il Fantasma di Craxi e il Congresso del PD

 

Il Fantasma di Craxi e il Congresso del PD

Sono 20 anni e più che l’Associazione Amici del Garofano Rosso e la Fondazione Craxi organizzano il viaggio ad Hammamet, sia per ricordare Bettino Craxi, ma anche per ribadire che non si è fatta luce sul quel tragico periodo che ha cambiato la storia dell'Italia. Questo non è un gesto di nostalgici, ma di ferventi democratici italiani, socialisti e non, consapevoli del fatto che senza verità non c’è giustizia, e senza giustizia non c’è democrazia. Il futuro del paese e della democrazia può essere solido solo se fonda le sue radici nella verità e nella giustizia.

Se qualcuno avesse dubitato che Mani Pulite fosse  una operazione golpista post moderna, le dichiarazioni di Palamara sul ruolo politico  che ha svolto e svolge parte della magistratura (dunque eversiva perché anticostituzionale)  è solo ingenuo o in malafede. Dopo Mani Pulite il paese  è entrato in un tunnel vorticoso  che, oltre a far emergere populismo e demagogia, ha  determinato una crisi di instabilità istituzionale e una crisi economica nazionale che sta impoverendo il paese.

 E’ evidente che l'obbiettivo non era solo fare fuori Craxi, ma ciò che lui e gli altri esponenti della prima Repubblica rappresentavano: cioè La Politica, nel suo senso più nobile del termine.  Con Mani Pulite vince l’antipolitica, non a caso sono 30 anni che questo paese non ha più una politica estera, né investimenti in infrastrutture, politiche industriali ed energetiche, 30 anni di depauperamento della ricchezza degli italiani, blocco dell’ascensore sociale, blocco del processo di integrazione europea che fa si che l'Europa non risponde ai popoli, ma alle lobby (il Qatargate ne è la conferma).  Di questo, ovviamente, sono responsabili gli italiani manipolati e i poteri forti e parassitari con il coinvolgimento oltre dei Pm,  anche degli ex comunisti che per salvarsi hanno preferito la via giudiziaria, abdicando alla democrazia e al loro ruolo sociale.

In questi giorni il Pd sta affrontando una caotica campagna Congressuale, ci sono vari ipotesi e vari temi a confronto, ma manca il tema principale che ha due risvolti   1) il socialismo democratico  e il comunismo, 2) l'assunzione di responsabilità politica della stagione di mani pulite. Non si chiede di rinnegare nulla, devono riconoscere il fallimento della loro storia comunista e il valore universale del socialismo democratico e liberalsocialismo, e come conseguenza logica ripudiare il giustizialismo e fare i conti con l'esperienza Craxiana, cioè con la politica di riforme strutturali ed istituzionali che sono ancora oggi attualissime per far salire la china al paese. Se vogliono definirsi realmente democratici la strada maestra passa per Hammamet.  Non comprendere ciò vuol dire continuare a rimandare la chiusura di una stagione politica fatta di populismo e demagogia che hanno contribuito a distruggere il Paese. Il rinascimento del paese e il ritorno della politica e della sinistra passano per la strada di Hammamet.

Roberto Giuliano

 


 

 

Gli stereotipi e i pregiudizi: La Morte della Politica

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