mercoledì 13 agosto 2025

La Sinistra che non c’è

 

La Sinistra che non c’è

Parafrasando Lenin potremmo definire l’attuale, cosiddetta sinistra italiana, che “il massimalismo è la malattia infantile del comunismo”. Questa frase fu detta criticando le posizioni di alcuni partiti comunisti europei, che non erano in grado a produrre strategie che tenevano conto delle situazioni interne e internazionali e portavano allo sbaraglio la classe operaia.

Si dice che quando si invecchia si torna ad essere infantili, ed è cosi per questa pseudo sinistra che ha smarrito l’anima e anche i valori che ispiravano il comunismo, aldilà della sua vocazione autoritaria, ecco l’unico aspetto rimasto nel loro DNA culturale, è proprio l’autoritarismo, come abito mentale, ricco di narcisismo, ignoranza selettiva ed infantilismo che è in grado di produrre rabbia intellettuale, odio aristocratico che si veste di indifferenza per i problemi altrui.

Il mondo è certamente cambiato in questi ultimi due secoli, siamo passati dalla società agricola all’industriale, alla post industriale e, oggi, a quella digitale, i ceti sociali si sono definiti e ridefiniti con ascensori sociali diversi nel tempo, la politica ha sempre cercato di regolare queste modifiche strutturali tra le varie classi, avendo, aldilà degli schieramenti, almeno nelle proprie enunciazioni, la tutela dei più deboli sicuramente dovuto all’imprinting cristiano dell’occidente.

La sinistra del 900 ha sempre avuto come stella polare, anche nella sua versione ipocrita, perché autoritaria, la difesa dei lavoratori, oggi la cosiddetta sinistra italiana, dopo aver eliminato quella socialdemocratica (Mani Pulite), abbandona la tutela del mondo del lavoro tralasciando le battaglie sulla giustizia sociale con le battaglie sui diritti civili.

Certamente i diritti civili sono importanti, ma se diventano una ideologia (come tutte le ideologie) si trasforma in una visione autoritaria della società, dalla difesa dei proletari alla difesa delle minoranze sessuali, cosa che potrebbe sembrare sacrosanta se queste battaglie non si fossero coniugate con l’autoritarismo, diventando principi identitari, ed essendo allergici alla cultura liberale, per cui i diritti delle minoranze non devono convivere con la maggioranza, ma essere il modello a cui la maggioranza si deve conformare.   

Con la fine del comunismo è cambiato il paradigma destra/sinistra, i partiti comunisti europei non hanno mai fatto una loro autocritica o Bad Godesberg,  (luogo dove si svolse il congresso della socialdemocrazia tedesca che nel loro programma ripudiarono il marxismo-leninismo), hanno cambiato il nome nel caso italiano o si sono inseriti nei vari partiti socialisti infettandoli con la loro cultura autoritaria.  Se prima si considerava la sinistra come la rappresente del popolo e dei ceti meno abbienti, oggi rappresenta una minoranza elitaria che, più o meno inconsciamente, non è interessata a rispondere ai bisogni dei ceti deboli, anzi vive con fastidio questi bisogni definendoli di destra

Questa trasformazione “modernista” della pseudo sinistra è funzionale ai nuovi equilibri internazionali per i quali non bisogna disturbare il capitalismo finanziario, che, in  compenso,  mette a loro disposizione l’universo digitale, un nuovo modo di fare politica, una politica che non chiede partecipazione, discussioni, mediazioni tipiche del processo democratico, il consenso oggi nell'epoca digitale  si basa sui like, un consenso sugli slogan e sulla propaganda che mediante alla polarizzazione identitaria che “il maggioritario bastardo” favorisce.

Mani Pulite di fatto ha eliminato la politica come strumento di partecipazione e selezione delle classi dirigenti, e se a questo aggiungiamo non solo l’abolizione dell’immunità parlamentare e l’abolizione del finanziamento pubblico è chiaro che la politica è morta. Senza soldi non c’è democrazia e non c’è politica autonoma dalle grandi lobby industriali e finanziarie.

La politica, di norma, ha dei valori e una visione progettuale del futuro (di norma condivisa dai vari partiti con differenti priorità), cosi la sinistra, una volta  indicava l’emancipazione di tutto il mondo del lavoro arrivando all’autogestione come modello da contrappore all’individualismo capitalistico, oggi prevale un concetto di libertà individualistica anche nei confronti del mondo del lavoro, che praticamente coincide con  l’indifferenza per le loro condizioni; è  per loro più facile fare le battaglie green, indignarsi quando avviene un incidente sul lavoro, che affrontare soluzioni pratiche che possono scontentare qualcuno, costa meno impegno e poi i social garantiscono la visibilità, ovviamente polarizzata tra le varie fazioni, costruendo un consenso non sul confronto, ma sulla delegittimazione dell’avversario trasformato in nemico. 

Gli stessi concetti di inclusività o solidarietà, nei fatti sono solo l’abito buono per “considerarsi di sinistra” ma poi si trasformano in abbandono o business ma anche strumento per imporre una dittatura delle parole.    Questa è  ormai una sinistra tornata all’età infantile, marionetta della finanza internazionale, mentre prima individuava, in modo sbagliato, il capitalismo come obbiettivo da distruggere, oggi è sottomessa alle leggi di mercato, anzi la finanza, le copre le spese per esistere.

I socialisti democratici non sono mai stati contro il mercato, anzi, per quanto possibile, nella prima repubblica è stato regolato e controllato, non è un caso che nel 1987 siamo stati la IV potenza industriale. 

Molti socialisti pensano che essere alleati di questo PD vuol dire essere di sinistra, niente è più falso di ciò, perché oggi rappresentano gli interessi di alcune lobby finanziare, non solo angloamericane, ma anche mediorientali, e la finanza non crea ma distrugge posti di lavoro. Ma come possono farlo con il consenso della politica? Semplice comprandosi quello schieramento politico che nell’immaginario collettivo ha rappresentato gli interessi e la tutela dei lavoratori.  Ricordiamoci del Prof. Prodi e della svendita delle aziende italiane e dunque del peggioramento delle condizioni dei lavoratori: dai contratti Co.Co.Co. alle false partite Iva, lavoro interinale e ad intermittenza. Oggi paradossalmente il Governo Meloni rappresenta l’elettorato del vecchio Pentapartito, nonostante stia votando meno della metà degli aventi diritto, e per esorcizzare questa deriva massimalista si inventano il ritorno del fascismo come collante per dirsi di sinistra.  Il dramma è che serve alla democrazia una sinistra democratica che si confronti con la destra senza essere nemici ma avversari e che sanno essere uniti quando si tratta di difendere gli interessi nazionali. Che sia la politica estera, che sia la politica della sicurezza e delle grandi opere sia logistiche che tecnologiche, certamente con approcci diversi ma per un obbiettivo comune: lo sviluppo del Paese e il benessere dei cittadini. Questo triste panorama mi fa pensare “All’isola che non c’è” perché tra Peter Pan e la pseudo sinistra purtroppo c’è piena sintonia, il dramma è che molti cittadini vivono e partecipano a questa bolla mediatica manichea in cui destra è sinonimo di fascismo affinché l’anatema impedisca il dialogo tra forze politiche nell’affrontare i gravi problemi che attanagliano il Paese.

Roberto Giuliano

 https://opinione.it/politica/2025/08/28/roberto-giuliano-sinistra-italia-pseudo-progressista-lobby-finanziarie/


 

 

 

martedì 5 agosto 2025

Garlasco, la zanzara del Nilo e la guerra: ma la giustizia sociale?

 

Garlasco, la zanzara del Nilo e la guerra: ma la giustizia sociale?

La giustizia sociale è ciò che ha fatto dell’Europa la culla dei valori dell’Occidente, una conquista fatta con il sacrificio nei secoli di tanta umanità che nel cristianesimo ha sviluppato la dimensione dell’umanesimo. La giustizia sociale è stata un valore condiviso dalla destra e dalla sinistra europea, nella sua evoluzione dalla società industriale a quella postindustriale e oggi, nella società digitale, sembra la Cenerentola dell’economia globalizzata. Certamente sono cambiati i meccanismi di confronto sociale e la tecnologia, per quanto utile, ha modificato il senso di percezione della realtà. Se da un lato sembra che l’eternità sia nostra sorella, dall’altro basta un fatto di cronaca nera per riportarci alla realtà che ci sfugge o che non vogliamo vedere. Il sistema politico mediatico, come una coazione a ripetere, inizia con dichiarazioni, interviste, dibattiti, talk-show come un rito scaramantico, affinché non si ripetano questi atti di violenza, ma non si considera che c’è anche il rischio di emulazione da parte di persone con fragilità psichica, il tutto per fare audience di una disgrazia.

Lungi da me voler censurare le notizie di questi atti o considerare negativo tutto il dibattito che ne consegue, il dramma è che dopo questa gran cassa mediatica, certamente importante per capire le motivazioni di questi comportamenti umani, il tutto finisce lì fino alla prossima disgrazia. Che fare? Prendere atto che il disagio sociale che vivono famiglie e i giovani dipende da vari fattori, per cui, una volta che si concorda sulle motivazioni psicosociali, mettere in piedi strategie nazionali per contrastare il degrado sociale. Non credo nel paradiso in terra, ma è possibile vivere e far vivere le famiglie in modo dignitoso? Penso di sì. E non è solo un problema economico, che certamente esiste, ma fa tanto anche vivere in una società dove sentimenti umani come l’odio, l’invidia, la competitività esasperata, il bisogno di affermazione, di possesso (il successo inteso come senso della propria esistenza ne è la versione perversa) e la rassegnazione vengono proposti come modelli di vita, invece di essere contrastati come sentimenti negativi.

Proposti da chi? Dal sistema comunicativo della nostra società dove tutti noi siamo attori, in un set dove manca il regista, la trama, ogni attore è lasciato a se stesso in una deriva dove si sono persi i valori comuni, il senso di solidarietà e di appartenenza, e prendono il sopravvento percezioni a volte anche molto distorte della realtà, dove emergono i pregiudizi e i mostri interiori dovuti alla paura e alla rassegnazione esistenziale di sentirsi abbandonati. Il problema della percezione di sé e della realtà è fondamentale per affrontare la vita. I nostri genitori che hanno vissuto il dopoguerra, si sono percepiti come pionieri che in modo solidale hanno ricostruito il Paese e faticato per dare un futuro ai loro figli. Noi che siamo stati i beneficiari del sacrificio dei nostri genitori stiamo vivendo e attraversando una profonda trasformazione sociale con contraddizioni spaventose: lo Stato sociale è peggiorato come la tutela dei lavoratori, molti ragazzi laureati e non sono lavoratori che con il loro guadagno non riescono né a comprare una casa né a mantenere una famiglia, si percepisce e si vive in una solitudine sociale

Il postmoderno, la rivoluzione digitale, per quanto importante, tende ad omettere le esigenze sociali con grandi operazioni di distrazione di massa, sia mediante i fatti di cronaca nera, che con l’arrivo di un nuova pandemia e con le stesse guerre che affliggono l’Europa e il Medio Oriente. Che sono elemento di polarizzazione, e dunque, per quanto gravi, vengono utilizzate per dividere e isolare i cittadini nella dicotomia manichea pro Russia o pro Ucraina, pro Pal o pro Israele, come se fossimo in uno stadio ma, invece di osservare una partita, siamo bombardati dalla propaganda, per avere un nemico senza più distinguere i valori e gli interessi che animano le parti in causa. 

Lo stesso linguaggio, che è quello strumento che ha permesso e che permette alla specie umana di convivere, di crescere e di creare una cultura condivisa, viene manipolato. La condivisione del senso delle parole che formano un linguaggio è un elemento fondamentale per qualunque comunità umana. Non so se le parole mantengono un contenuto ancestrale nell’evoluzione della cultura umana, ma è certo che modificarne il senso può disorientare e discriminare chi non si adegua. Le parole: descrivono un oggetto, definiscono una relazione, danno senso ad una opinione, definendo una realtà che però, se manipolata, è una “realtà” e non la realtà. Non dobbiamo contrastare i cambiamenti tecnologici ma governarli, mettendo al centro l’essere umano e i suoi bisogni, cominciando da quelli primari. Perché in questa società tecnologica e mediatica ci sono i poveri sia economici che intellettuali, e ometterli dai media – e dunque dal dibattito politico – può far credere che non ci siano e quindi abbandonarli alla solitudine del loro destino. Allora è più utile parlare del caso Garlasco o della zanzara del Nilo.

Roberto Giuliano

 


 

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