DAL LIBRO LA GOCCIA ROSSA SUL TAPPETO NERO IL CAPITOLO: QUANDO L'AVVERSARIO DIVENTA IL NEMICO
Politica e violenza
La seguente frase di Camus rende bene l’idea dell’equivoco che c’è in politica tra avversario e nemico
Un nemico è una persona che ritengo mi abbia fatto o mi potrà fare del male, un nemico è colui che si odia , o ancora colui di cui si vuole o si desidera la morte; un avversario è una persona che in quel momento può essere competitivo o antagonista, si può essere avversari in una partita di pallone, una gara di atletica come in una competizione elettorale; in tutti questi casi la competizione può essere dura, aspra, ma mai si desidera l’eliminazione o la morte del concorrente; la propagazione mediante slogan o parole d’ordine di questa confusione, in politica può determinare gravi sconquassi alla democrazia e alla convivenza civile, perche come esistono fanatici a sinistra ce ne stanno altrettanti a destra.
La prima cosa da evitare, quando si parla di violenza, è l’equivoco con l’aggressività, e la rabbia. Esse sono una caratteristica dell’uomo e di tutti gli esseri umani, e non è giusta l’equazione aggressività uguale violenza, anche se affinità sono presenti, mentre l’aggressività può essere anche agita, la violenza è un comportamento principalmente agito. Non sono interessato alla polemica tra i sostenitori della visione dell’uomo come “buono per nascita e rovinato con la crescita”, oppure tutti gli animali sono violenti per la propria sopravvivenza, quindi l’uomo è violento. Poi ci sono quelli che dicono “l’uomo è l’unico animale che ammazza un suo simile” e gli altri rispondono presentandogli una casistica di animali che uccidono il proprio simile.
Quanta violenza osserviamo intorno a noi, e quante volte noi siamo responsabili di azioni violente provocate inconsapevolmente, ben sapendo che tra aggressività e violenza c’è contiguità, come dire una scala di valori che dall’aggressività si passa alla violenza con varie gradazioni, da quella verbale a quella agita, da un cazzotto alla morte..
Cos’è che genera la violenza?
Certamente aggressività, e frustrazioni represse, alienazioni e paranoie, ambienti famigliari e culturali degradati e traumatizzanti ma anche l’indifferenza affettiva, possono favorire l’esplosione di forme comportamentali violente.
Tali problematiche e non solo, possono essere la coltura di forme violente ma per assumere una veste politica non bastano.
La violenza può assumere sembianze politiche solo se è supportata da una teoria che ne legittima la pratica e l’uso, e dunque parliamo di cattivi maestri, che certamente non sono responsabili penalmente (finché non agiscono) di quello che dicono agli alunni, ma lo sono moralmente, se poi il cattivo maestro opera o è il leader di una forza politica o di un movimento culturale in questo caso c’è una responsabilità politica.
Cos’è “l’odio di classe” se non una giustificazione politica affinché sia moralmente accettabile odiare e dunque distruggere colui che si odia? che differenza c’è tra “l’odio di classe” e la teoria della razza ariana? sostanzialmente nessuna ambedue vogliono eliminare fisicamente le “razze diverse”, con il supporto di una presunta teoria scientifica che ne legittima l’aberrazione.
L’odio di classe è la teorizzazione politica al diritto di odiare dei cittadini per la sola appartenenza ad una classe sociale diversa dalla propria? Quando si teorizza il diritto ad odiare come un diritto politico, di fatto si concretizza una istigazione alla violenza politica. E se qualche matto domani compie qualche gesto folle, da parte di chi ha propugnato l’odio di classe, ci sarà un atteggiamento teso a minimizzare l’accaduto per arrivare quasi, quasi a giustificarlo. L’odio, ieri verso Craxi e oggi verso Berlusconi, non è altro che la trasposizione di questo odio di classe verso colui che viene indicato o individuato come nemico, è la cultura del capo espiatorio. Una cultura primitiva che vive dentro di noi, e che è stata legittimata dal furore mediatico avvenuto con tangentopoli e propagato negli anni dalla diversità comunista e dal moralismo catto-piccolo borghese.
Il binomio amore – odio è antico quanto la storia dell’uomo, se uno è costruttore di vita, di relazioni, l’altro rappresenta il desiderio di morte per l’altro e per se stessi, la negazione di qualunque dialogo e relazione. L’amore per la nazione, per il proprio popolo favoriscono una identità comune che è la condizione, per un dialogo politico tra diversi, ma se prevale l’odio non è possibile nessun dialogo.
Alla cultura violenta si risponde con quella democratica, ma quando si passa dalla teoria alla pratica allora lo stato democratico deve rispondere con le norme repressive previste dal suo ordinamento democratico, così come in Germania, si sta ipotizzando di chiudere partiti che della violenza si fanno araldi, lo stesso ragionamento in Italia lo deve fare la nostra sinistra alfine di espellere dal tessuto democratico, “chi sempre per una buona causa”, pensa di fare violenza ad un altro. Che la storia, sia storia di violenza è anche vero, ma se si pensa di vivere nel 1848 mentre si vive nel terzo millennio è da idioti; non è accettabile che si confondano sistemi autoritari, dove la violenza può rappresentare la sopravvivenza, con un sistema democratico con tutti i suoi limiti ma che sempre democratico è, no, questo non è proprio accettabile!
La vera rivoluzione, se vogliamo usare questo termine inteso come rottura, deve essere culturale, perché se la cultura non si evolve, vale il motto “del lupo che cambia il pelo ma non il vizio”, in psicologia, si direbbe una coazione a ripetere. Un esempio eclatante è l’affermazione fatta da Sofri il leader di Lotta Continua, condannato per l’omicidio del commissario Calabresi, il quale nonostante condanni gli anni di piombo dice
Il comportamento violento in politica è un virus che entra nell’uomo attraverso le parole di odio verso l’avversario, che diventa nemico, cioè colui che è responsabile di tutto ciò che nella tua esistenza va male; questo fiume in piena di odio è propinato anche dalle teorie dogmatiche e salvifiche che possono spingere gruppi o singoli uomini nel silenzio della loro solitudine o nell’auto convincimento del gruppo che si estranea dalla realtà, il leit motiv dell’esplosione di forme di violente.
Con questo non voglio minimamente ridurre i conflitti sociali ad ipotesi criminali o immaginarmi una società ideale come l’immaginava Platone.
Anche per la mia esperienza personale sono convinto che il conflitto e l’antagonismo sociale, se non sono ideologie ma aspetti sociali del mutare della società, sono salutari e fondamentali per la democrazia anche con l’esplosione della rabbia sociale e, permettetemi, non è un eufemismo se la chiamo rabbia sociale e non violenza.
La rabbia sociale scoppia perché i governanti non hanno saputo o voluto trovare una soluzione; essa, può anche degenerare in forme violente, non è obbligatorio, ma trovata la soluzione finisce. Un esempio per tutti, credo è la situazione da terzo mondo che si è vissuta in Campania, sul problema dell’emergenza rifiuti, un problema che in quasi 15 anni di governo Bassolino con la presenza del ministro dei Verdi Pecoraro Scannio, campano anch’egli, non sono stati in grado di risolvere nonostante le centinaia di milioni di euro investiti; è stata un emergenza non risolta con gravi danni per la salute pubblica, per l’immagine dell’Italia nel mondo, e un grande spreco di soldi pubblici.
Ci sono state proteste e scontri, ma una volta che lo Stato, grazie all’impegno in prima persona del presidente del Consiglio Berlusconi, ha deciso di varare un piano per l’emergenza mediante il confronto con tutti gli amministratori e i cittadini invitando tutti alla responsabilità dandone lui in prima persona l’esempio, il conflitto che si era determinato con le istituzioni si è risolto ed oggi si è risolto anche il problema dell’emergenza rifiuti.
Ovviamente una classe politica (quella locale) ne esce delegittimata, ed è una classe politica ormai non più credibile per i cittadini; da qui la rabbia e il conflitto sociale che è emerso (aldilà degli interessi della malavita che in questi territori sono sempre presenti) scompare con la soluzione del problema perché non sostenuto da una teoria politica che proclama “i rifiuti son belli”.
Per i comunisti ed ex, questo loro essere i migliori, i diversi, determina la loro impunità morale, per cui non percepiscono il senso di vergogna che dovrebbero avere, ad esempio, per come hanno governato la Campania, ma c’è di più, ed è l’omertà, che viene scambiata per solidarietà, da parte di chi dovrebbe denunciare lo scandalo o indagare nei confronti delle malversazioni economiche di milioni di euro spariti nel nulla.
Ma è il loro essere casta che li rende estranei alla realtà, perché per essi esiste solo la realtà della loro visione del mondo impermeabile al mondo esterno; quando la realtà non si adegua si sentono legittimati ad usare la violenza nelle sue varie sfumature, come tutti i cultori di ideologie illiberali.
Per i cultori di ideologie salvifiche l’obbiettivo è raggiungere a tutti i costi e con ogni mezzo il loro mondo, per poi sostenerlo sempre con tutti i mezzi possibili, come hanno fatto i Talebani in Afghanistan: prima hanno combattuto con altre formazioni culturali la dittatura comunista, una volta vinta si sono scagliati contro gli alleati e poi hanno sostenuto il loro regime, come facevano i comunisti, anzi peggio perché la loro è una dittatura teocratica basata sul diritto divino. Anche l’attualità politica ci dimostra come questo odio accecante contro Berlusconi li porta ad un imbarbarimento della politica passando dal già deprecabile giustizialismo al gossip moralizzatore.
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