Le ideologie: la morte della democrazia
Nell’epoca dell’iperconnessione viviamo immersi in un flusso continuo di notizie, immagini, commenti. Ogni giorno i media e i social ci raccontano il mondo, ma spesso lo fanno semplificando, distorcendo o trasformando tutto in spettacolo. In questa realtà sovraccarica di informazioni – che più che chiarire rischia di confondere – riaffiora un dilemma antico: è meglio vivere sereni, al riparo dai fatti, o accettare la complessità del sapere, con l’inquietudine che inevitabilmente porta con sé?
Socrate ci insegnava che la vera conoscenza nasce dal riconoscimento della propria ignoranza. Oggi, però, il paradosso è amplificato: abbiamo accesso a tutto, ma non sempre abbiamo gli strumenti per interpretarlo. Bauman parlava di “società liquida”: un mondo in cui le informazioni scorrono rapide ma spesso senza trasformarsi in autentica conoscenza. Ne deriva una frammentazione che genera smarrimento, ansia e una percezione distorta della realtà.
È in questo clima che molti cittadini si sentono disorientati e impauriti. Temono per la propria sicurezza, per il futuro, per i figli. Il cambiamento rapido dell’epoca digitale — dall’intelligenza artificiale ai fenomeni migratori — alimenta preoccupazioni concrete, che però vengono spesso manipolate o semplificate, anziché analizzate con lucidità.
L’avanzata dell’IA solleva interrogativi su lavoro e economia. L’immigrazione, tema complesso fin troppo usato come arma politica, viene trasformata in una contrapposizione tra “buoni” e “cattivi”: una narrazione che non aiuta a capire, ma solo ad alimentare polarizzazione e paura.
La prima distorsione da smontare è l’idea che gli immigrati siano la causa di tutti i problemi o che siano per definizione pericolosi. È una lettura non solo falsa, ma anche priva di basi scientifiche. Darwin ricordava come la mescolanza tra popoli abbia storicamente rafforzato la specie umana. Il vero nodo non è dunque l’immigrazione in sé, ma la compatibilità culturale, la gestione legale degli ingressi, il rispetto delle regole dello Stato ospitante. In qualsiasi Paese esistono procedure da seguire: se valgono per i cittadini, perché non dovrebbero valere anche per chi arriva da fuori?
Accoglienza significa apertura, ma anche rispetto della cultura e delle norme del Paese ospitante. Un equilibrio che richiede politiche serie, non slogan. Eppure il dibattito politico, spesso intrappolato in contrapposizioni ideologiche, evita i contenuti e alimenta tensioni. Il risultato è un cortocircuito in cui forze politiche, magistratura che si percepisce politica e i media contribuiscono, volontariamente o meno, a confondere i cittadini anziché chiarire.
La narrazione mediatica non aiuta: un giorno si minimizzano episodi di cronaca, il giorno dopo li si enfatizza oltre misura. In entrambi i casi si perde di vista la realtà: esiste un problema di legalità e di integrazione che uno Stato democratico non può ignorare. Il recente stop al progetto dei centri di accoglienza in Albania è emblematico: molto scontro politico-mediatico, zero proposte alternative.
Faccio presente che in tempi non sospetti nel settembre 2023 scrissi un articolo su questo tema, che potete approfondire se interessati: https://lesfumaturedelgarofanorosso.blogspot.com/2023/09/dallanalisi-alla-proposta-il-pensiero.html
Un altro terreno dove la polarizzazione fa danni è quello economico, a partire dal tema del caro vita. Anche qui, anziché aprire un confronto serio, ci si rifugia in slogan. L’idea del salario minimo per legge, proposta come soluzione immediata e universale, dimentica che non tutti i settori possono sostenerlo e che senza una concertazione ampia potrebbe tradursi in un semplice aumento dei prezzi, annullando i benefici per i lavoratori. Una misura che rischia di indebolire la contrattazione e di favorire il capitale finanziario, custodendo rendite e distorsioni invece di eliminarle.
In questo clima, la polarizzazione diventa la vera nemica della democrazia: trasforma i cittadini in tifosi, incapaci di affrontare la complessità dei singoli temi. Slogan come “mettiamo la patrimoniale”, “salario minimo per tutti”, “accogliamoli tutti”, “rimandiamoli tutti a casa”, “la democrazia è in pericolo” sostituiscono il ragionamento con l’emotività. Al punto che parole come “destra” e “sinistra” vengono usate come etichette assolute: per alcuni “destra” è automaticamente sinonimo di fascismo, per altri “sinistra” significa comunismo. Un gioco al massacro che svuota il dibattito pubblico e legittima comportamenti sempre più aggressivi, alimentando insicurezza e spingendo alcuni a desiderare risposte autoritarie invece che istituzioni autorevoli.
Con questa logica demenziale si determina confusione, si corre il rischio di aggravare il dialogo sociale e si sdoganano forme violente di convivenza civile, aumentando l’insicurezza sociale con il rischio che si alimenta nei cittadini il bisogno di autoritarismo istituzionale invece di Istituzioni autorevoli. Per contrastare questa deriva dobbiamo pretendere dai media e dalla politica confronti e non scontri sensazionalisti perché il sapere non significa accumulare notizie, ma saperli collegare, e dare a loro senso (Edgar Morin). La conoscenza autentica non ci isola dal mondo, ma ci rende più capaci di comprenderlo e, forse, di trasformarlo.
Roberto Giuliano

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