Leggendo il libro di Giovanna Canzano “Le Radici Ebraiche nel pensiero di Franz Kafka” edizione Solfanelli, 2024, emerge un mondo dimenticato, “...la storia insegna, ma non ha scolari.” (Antonio Gramsci), fatto di privazioni, di paure, di inquietudini esistenziali. Per capire il presente serve ricordare il passato, il merito di questo libro è proprio quello di farci comprendere il mondo in cui è vissuto Franz Kafka, un’epoca dimenticata, dove le radici di un passato, la storia stessa, ci fanno comprendere la precarietà esistenziale degli ebrei.
Il libro ci porta nel periodo dell’impero asburgico, nel momento in cui c’è un risveglio del nazionalismo Ceco nei confronti dell’impero, e parte della comunità ebraica Ceca cerca “l’assimilazione” nella cultura tedesca, e, non è un caso che al giovane Kafka viene dato un nome tedesco come Franz. Da qui la strana combinazione che vive la sua famiglia di ebrei cecoslovacchi che si identificano con la cultura germanica, mentre i cecoslovacchi percepiscono negativamente ciò che è tedesco.
Altro aspetto interessante, che il libro della Canzano affronta, è il rapporto di Franz con il padre, un rapporto di incomprensione reciproca, di aspettative negate, tipiche di ogni epoca, ma, in questo caso, di radici ebraiche negate in vista di una vita migliore ed agiata.
Il giovane Kafka vive l’inquietudine di una vita diversa da quella del padre, gli manca il contatto con l’ebraicità, che, contrariamente al padre che ormai né vuole fare a meno, quel mondo che scoprirà frequentando il teatro yidish e frequentando gli attori del Teatro Savoy, gli daranno il contatto con le sue radici cercate da sempre.
Emerge nel libro, in modo chiaro, la precarietà esistenziale
tipica degli ebrei che da secoli vagano e subiscono discriminazioni solo per
essere ebrei e dunque estranei alla comunità etnica di maggioranza. Esiste purtroppo una mistificazione storica
operante da secoli che oggi potremmo definire un forte pregiudizio o stereotipo,
nonostante la Shoah, sugli Ebrei in quanto tali, e mi sovvengono le parole di
George Orwell: “Se
tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la
menzogna diventava un fatto storico, quindi vera.”
Roberto Giuliano
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