Saluto gli illustri partecipanti a questa iniziativa che, come Corecom Lazio, abbiamo voluto realizzare consapevoli che i vostri ruoli e le vostre competenze possono essere un viatico nell’indicare soluzioni possibili ad una realtà tecnologica e sociale in continua trasformazione. Le fake news, o bugie, o manipolazioni non sono una novità nella realtà storica dell’essere umano: dalla “Damnatio memoriae” dei romani che significa “condanna della memoria” ed indicava una pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una persona, come se essa non fosse mai esistita (simile oggi al "ti cancello dei social media e non solo per parolacce), agli orrori dell’900 del nazismo e del comunismo che si raccontavano come il paradiso in terra.
La novità di questo terzo millennio sta nelle opportunità che i nuovi strumenti informatici offrono al cittadino, sia in termini di informazione, ma anche di relazioni virtuali con persone reali, e nella falsificazione degli stessi. I social sono diventanti strumento di informazione, di confronto, ma anche di propaganda e disinformazione. Nelle relazioni Virtuali ogni essere umano diventa un presunto opinion leader di se stesso e inconsapevolmente un propulsore di notizie, che crede reali, senza doverle verificare. Molti utenti dei social non sanno che esistono profili finti per assecondare delle idee, o che lo stesso social ti invia automaticamente messaggi che potresti condividere visto che analizza le scelte che condividi.
Questo suggerire le notizie in sintonia con una tua presunta idea fa si che essa si rafforzi nella mente dell’utente perché dall’algoritmo vengono escluse dalla navigazione le idee contrastanti.
La ricerca spasmodica di like e di far visitare il proprio sito, porta, come conseguenza, alla radicalizzazione della notizia, quando va bene, se non alla manipolazione come ad esempio, del titolo della notizia, della quale poi il contenuto è totalmente diverso, il tutto affinché si vada a leggere la notizia che a sua volta rende maggiormente attraente il sito per ricevere pubblicità.
La comunicazione digitale può creare confusione specialmente quella scritta perché si perde il tono della voce che è un aspetto fondamentale per comprendere il senso di una parola se usata in modo offensivo o no. Ma più che combattere le parole che possono suscitare odio, rabbia o indignazione bisognerebbe educare alla gestione dei sentimenti, che in quanto tali nobili o meno nobili, sono ineliminabili, in quanto insiti nella natura umana.
Certamente la cultura del relativismo in questi anni ha indebolito la ricerca della verità, perché la verità o il fatto esiste in se, ciò su cui si può e si deve discutere è la lettura e dunque le interpretazioni su quella verità o su quel fatto. Se una donna è morta questa è una verità ed è un fatto incontestabile, come il fatto sia avvenuto fa la differenza, potrebbe essere una disgrazia o un femminicidio, oppure un femminicidio o una invidia sociale, ed ancora una ribellione ad usanze religiose o perché a conoscenza di segreti che fanno tremare il potere. In base a come si racconta il fatto si possono sollecitare nei lettori sentimenti di paura, di intolleranza, di ribellione, come di rassegnazione.
Uno degli aspetti che considero prioritario è che si dovrebbe distinguere tra l’opinione di una persona che si può esprimere tramite un blog, e coloro che diffondono opinioni tramite dei siti, perché questi ultimi appaiono agli utenti come fonte di informazione, quindi, più attendibili delle opinioni di qualunque utente. Si dovrebbero registrare con responsabilità pari alle testate giornalistiche?
Che responsabilità devono avere i gestori dei social affinché non ci sia il libero arbitrio nel censurare ciò che non gli aggrada? Aldilà di come la si pensa su Trump, il fatto che un privato cittadino miliardario e proprietario di Facebook, come Zuckerberg, possa decidere di sospendere il profilo e dunque la comunicazione tra il Presidente degli Stati Uniti e il suoi elettori, pone un problema di democrazia su come i social possano assomigliare, con i dovuti distinguo, a un regime che gode delle convenienze del libero mercato, ma che al bisogno può trasformarsi nel volto di Kim Jong-Un presidente della Corea del Nord.
Il bilancio che emerge dal “Report delle minacce 2017-2020” di Facebook, un documento di quaranta pagine che tira le somme di quattro anni alle prese con la disinformazione di matrice statale. Un arco di tempo in cui sono stati eliminati più di 150 network di disinformazione maligna provenienti da 50 Stati diversi.
C’è la necessità di una regolamentazione delle piattaforme sia nazionale ma anche sovranazionale. In Europa si parla di rafforzare il Codice del 2018, ad esempio come fornire agli utenti strumenti per segnalare la disinformazione che non va confusa con la controinformazione.
Il titolo di questa iniziativa parla di libertà e responsabilità, perché se culturalmente siamo contro la censura siamo anche contro l’irresponsabilità. Credo che i legislatori, con il supporto degli studiosi e degli operatori del settore, dovranno trovare gli strumenti, non facili, affinché la democrazia non sia travolta dalle fake news e contemporaneamente non sia limitata la libertà di opinione dei cittadini. Ricordo che da ragazzo Riccardo Lombardi ci spiegava che il riformismo è quella capacità, abilità, metodo per cui i riformisti devono essere capaci di cambiare la ruota di una bicicletta mentre si pedala, certamente un compito arduo, ma è un dovere verso i cittadini e verso i valori della democrazia.
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